“Ogni immagine esposta per lungo tempo è molto luminosa e se estremamente sovraesposta scompare. E’ una metafora di come il tempo possa lavare via o bruciare ogni cosa. Ma è anche un modo per tornare al punto zero, all’inizio: da dove veniamo e dove inesorabilmente torneremo”. Hiroshi Sugimoto.
E’ dopo aver letto questo pensiero di Sugimoto che ho deciso di visitare la mostra “Stop Time” al Foro Boario di Modena a cura della Fondazione Fotografia Modena visitabile fino al 7 giugno. Una mostra antologica che ripercorre la carriera del fotografo presentando alcuni dei suoi lavori più importanti:
Architecture una serie dove si percepisce chiaramente il suo interesse verso l’architettura moderna, ma che al contrario del tradizionale approccio estetico di linearità e massima definizione che si può avere per questo genere, lui va a sfocare l’intera scena con un approccio evocativo. Lo scopo è di cogliere l’essenza del luogo fotografato entrando di fatto in uno spazio-tempo parallelo ma differente dalla percezione quotidiana.
Dioramas presenta una serie di foto scattate in musei di storia naturale come soggetto dei diorama composti da animali impagliati posti di fronte a fondali dipinti. L’impressione è di totale realtà, ma appena ci si avvicina alle stampe ci si accorge di trovarsi di fronte a una finzione. Ecco qui il concetto espresso dall’artista: “Per quanto sia finto il soggetto, una volta fotografato è come se fosse vero”. H.S.
Con Portait abbiamo nuovamente un confondersi tra realtà e finzione nel linguaggio fotografico: i soggetti sono le statue di cera realizzate da Madame Tussaud raffiguranti personaggi famosi della storia. Fotografate su fondale nero con una luce che richiama il chiaroscuro di Van Dick, non si è più di fronte a delle statue ma al soggetto “reale”.
Theaters è forse la serie che concettualmente mi ha più colpito e che rispecchia la frase riportata all’inizio. Le fotografie sono scattate all’interno di alcuni teatri durante la proiezione di un film. L’artista, con una rigorosa composizione centrale, ha lasciato aperto l’otturatore per tutta la durata del film con il risultato di avere lo schermo completamente bianco ma con una perfetta lettura della spazio del teatro. Il film come analogia della nostra vita, lo scorrere del tempo che porta tutto al bianco come analogia del nostro destino…tornare al punto di inizio.
Seascape è la serie che esteticamente mi è piaciuta di più, forse perché sono molto legato alla paesaggistica, ma forse, più probabile, perché l’evocazione e il minimalismo di queste foto è di uno spessore incredibile. “Ho immaginato il primo essere umano dotato di una coscienza mentre contemplava il mare. Ho immaginato lo stesso mare dopo l’estinzione della razza umana. E’ placido, sereno, indifferente”. H.S.
Le ultime due serie sono Lightning Field e Photogenic Drawings, nella prima abbiamo delle immagini sperimentali realizzate utilizzando delle scariche elettriche sulla pellicola, nella seconda abbiamo delle stampe eseguite da Sugimoto a partire da negativi di Talbot (inventore della fotografia) che non erano stati stampati neanche dall’autore.
Una mostra nella quale si percepisce chiaramente il rigore giapponese sia nella composizione fotografica che nella qualità delle stampe e anche nell’organizzazione degli spazi espositivi. Una mostra che presenta delle serie molto differenti tra loro, ma legate da diverse sfumature del concetto “tempo” e del desiderio che ha l’uomo di poterlo fermare. “Il tempo esiste unicamente grazie alla percezione umana; e dunque solo quando l’umanità sarà scomparsa dalla faccia della terra potremo dire davvero di aver fermato lo scorrere del tempo. Non ci vorrà molto”. Hiroshi Sugimoto.