Vivian Maier. Una fotografa ritrovata.
In mostra fino al 31 gennaio 2016 presso “Fondazione FORMA per la fotografia” a Milano.
La scoperta di questa fotografa è avvenuta nel 2007 grazie a John Maloof il quale acquista ad un’asta parte dell’archivio di Vivian e capisce subito di avere tra le mani del materiale davvero prezioso. Questo lo porterà a fare una profonda ricerca su di lei e ad archiviare oltre 150000 negativi e 3000 stampe, molti di questi negativi non furono nemmeno stati sviluppati.
Ma scopriamo chi è stata Vivian. Intanto come professione non ha mai fatto la fotografa ma è stata una bambinaia a New York e Chicago. La sua passione per la fotografia la porta a non abbandonare mai la sua Rolleiflex e a scattare per le strade quasi in modo compulsivo ogni cosa incuriosisse il suo sguardo.
Uno sguardo attento alle persone, ai lori volti, ai particolari, agli anziani e bambini, allo scorrere del tempo nelle strade… fotografie che oltre a rivelare la grande fotografa che è stata, ci restituiscono uno spaccato della società in un momento di cambiamento sociale e culturale.
In mostra troverete 120 fotografie in bianco e nero scattate tra gli anni ’50 e ’60 più una selezione di scatti a colori degli anni ’70 e alcuni filmati in super 8.
Una persona molto riservata che ha sempre cercato di mantenere le distanze dalle persone. Distanza però accorciata grazie ai suoi scatti. Dalle sue fotografie traspare un desiderio di catturare i momenti di vita di altre persone che però scandiscono il suo vivere la giornata. Un vivere del mondo esterno tramite la fotografia non come ricerca profonda del se, non per cercare di entrare dentro alle persone interrogandosi del perché e del percome delle situazioni che fotografa, ma immortalarle nella loro semplicità come pure istantanee di vita in quel palcoscenico che è la strada.
La sue composizioni sono semplici e immediate con un pieno utilizzo del formato quadrato. Visioni e composizioni assolutamente genuine e spontanee, un utilizzo delle luci e delle ombre sempre ben bilanciato.
Numerosi sono anche i suoi autoritratti che sinceramente mi hanno particolarmente interessato e dai quali ho trovato una duplice chiave di lettura. Se da un lato sono da leggere come una semplice voglia di farsi un autoritratto quando ci si accorge della propria immagine riflessa, da un altro lato si percepisce quel desiderio di essere un soggetto interessante da fotografare tanto quanto le persone che immortala per la strada.
Il fatto che mentre era in vita, le sue fotografie non siano mai state esposte o pubblicate e lei non le abbia mai mostrate a nessuno, ci fa capire come la fotografia per lei fosse una cosa assolutamente privata, fotografare per il bisogno di fotografare, fotografare per se stessi, fotografare non tanto per il risultato finale ma per l’atto dello scatto, l’atto di immortalare un momento un soggetto.
Sono convinto che nei prossimi libri di storia della fotografia, oltre ai grandi nomi che già conosciamo, ci sarà un posto anche per Vivian Maier.
Concludo nel consigliare, oltre che la visita alla mostra, la visione del film-documentario “Alla ricerca di Vivian Maier” del 2013.